domenica 3 febbraio 2013

È sempre più difficile fare agricoltura in Italia, tra fisco e costo del lavoro


Risale il clima di fiducia delle imprese italiane, ma non in agricoltura. Se a gennaio ricomincia a crescere il “sentimento” economico del tessuto industriale del Paese, non si può dire lo stesso delle campagne, dove prevale il pessimismo sul futuro. Lo afferma nel frattempo la Cia, Confederazione italiana agricoltori, sempre in merito ai dati diffusi dall'Istat. È quanto si legge in una nota stampa diramata da Cia il 30 gennaio 2013, e che riportiamo integralmente. Nel 2012 il settore primario ha perso 17 mila imprese, che sono crollate sotto il peso della crisi, dell’aumento dei costi e dell’assenza di misure di sostegno adeguate - ricorda la Cia - e anche l’anno nuovo si è aperto con prospettive “nere” e giudizi negativi. Il fatto è che oggi il mondo agricolo è sotto pressione, schiacciato prima di tutto dai rialzi delle spese di produzione, che in un anno sono cresciute il doppio dei prezzi praticati sui campi, vanificando di fatto ogni possibile guadagno - osserva la Cia -.
Soltanto i costi per i carburanti sono cresciuti nel 2012 del 4,5%, contro un incremento medio annuo dei prezzi dei prodotti agricoli del 2,1%. Ma il settore perde forza e vitalità anche per colpa dell’Imu, con un aumento stimato di 130 milioni di euro solo per il gettito dei terreni agricoli - continua la Cia - mentre il “credit crunch” raggiunge livelli insostenibili, con tre aziende su cinque che denunciano difficoltà enormi nell'accesso a finanziamenti e prestiti. Anche creare nuova occupazione diventa dispendioso per gli imprenditori agricoli: in Italia le aliquote a carico del datore di lavoro per l’assunzione di manodopera sono pari al 35% circa - evidenzia la Cia - contro il 12% del Regno Unito, il 13% della Francia o il 15,8% della Spagna. È chiaro che tutto questo non aiuta ad avere fiducia nelle prospettive del Paese - conclude la Cia - anzi demoralizza e abbatte. Ecco perché la prossima legislatura dovrà immediatamente affrontare i problemi del settore primario, partendo proprio dalla riduzione delle accise e della pressione fiscale e contributiva a carico delle aziende. D’altra parte, l’agricoltura è un elemento centrale della struttura economica e occupazionale dell’Italia, una garanzia per la tutela del territorio e dell’ecosistema.
“È di vitale importanza – afferma Giorgio Vindigni -, in questo momento storico di flessione generale, un rilancio strategico dell’agricoltura che punti soprattutto alla ricerca di un nuovo equilibrio tra i settori economici dove l’agricoltura ritrovi la sua centralità.
La ripresa economica deve passare anche dalla valorizzazione delle tipicità locali delle nostre città. La tradizione enogastronomica, la tutela del paesaggio, la promozione del nostro patrimonio storico, culturale e artistico sono aspetti imprescindibili per un rilancio dell'economia locale. Un'economia che sappia rilanciare il ruolo dell'agricoltura, promuovere i prodotti della nostra terra e valorizzare la filiera corta e le produzioni di qualità.
Per questo non posso che essere a sostegno del mondo agricolo e di tutte quelle attività che, in modo diretto o indiretto, costituiscono un patrimonio di esperienze, lavori e saperi che devono essere salvaguardati e che sono potenziali produttori di nuova economia. Da qui il mio impegno – conclude Vindigni - per un rilancio dell'agricoltura, attraverso lo snellimento burocratico della gestione delle aziende agricole e la promozione delle tipicità locali”.

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